Spettri

Testo Henrik Ibsen (1828 - 1906); traduzione e regia: Cesare Lievi; luci: Gigi Saccomandi; scene: Csaba Antal; costumi: Luigi Perego; musiche: PFW; interpreti: Franca Nuti, Francesco Migliaccio, Massimo Foschi, Marco Toloni, Sandra Toffolatti.

"Spettri" è, fra le opere di Henrik Ibsen, una delle più legate al dibattito culturale e alle polemiche sociali dell'epoca. La storia, lo ricordiamo per sommi capi, è quella di una giovane che si scopre colpito da un male incurabile ereditato da un padre dissoluto. Riproporre oggi questa vicenda di "mali dei padri che ricadono sui figli" può avere un senso in due casi: se diventa occasione per una lettura filologica, in cui si ricostruisce il "profumo di un'epoca", e se, al contrario, si attualizza il copione negandolo nella forma e recuperandolo nella sostanza. Basti pensare, è solo un esempio, alle infinite possibilità aperte dal tema dell'AIDS contrapposto a quello, antico, della sifilide. Cesare Lievi non ha fatto nessuna di queste scelte, meglio le ha fatte tutte e due, ma a metà. Ha riambientato in epoca moderna il testo del 1881, ma ha lasciato sostanzialmente intatto l'apparato drammaturgica, anche se introduce, nel finale e un po' a freddo, il tema dell'eutanasia. N'è nato uno spettacolo pieno d'incongruenze ove, ad esempio, il massimo della deboscia è individuato nel circuire le cameriere e ubriacarsi, davvero poco in un'epoca dall'uso diffuso di droghe e dal proliferare delle forme di perversione. Uguale discorso per gli attori che, a parte una Franca Nuti professionalmente classica, sembrano in balia di prestazioni prive d'indirizzo. Un'occasione perduta e uno spettacolo modesto.

 

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