Ninotchka

Testo: Melchior Lengyel (1880 - 1974) e Marc Gilbert Sauvajon (1909 - 1985); versione italiana: Luigi Lunari; regia: Filippo Crivelli; scene e costumi: Alberto Verso; musiche: Bruno Colli; movimenti coreografici: Cristina Rastelli; interpreti: Claudia Koll, Gianpiero Bianchi, Riccardo peroni, Marco Marelli, Alferdo Piano, Cinzia Sartorello, Valentina Piserchia, Filippo Iezzi.

 "Ninotchka", diretto da Ernst Lubitsch, è il penultimo film interpretato da Grata Garbo, nel 1939, prima di ritirarsi dalla carriera cinematografica. L'ultimo sarà, nel 1941, "Non tradirmi con te" e lo dirigerà George Cukor. Due grandi registi per una diva capace, si direbbe oggi, di "bucare lo schermo" più che recitare in modo sublime. "Ninotchka" portava la firma, come sceneggiatore e autore del soggetto, di Melchior Lengyel, un ungherese trapiantato a Hollywood autore di buoni testi teatrali e sceneggiatore di un altro grande film di Lubitsch: "Vagliamo vivere" (1942). Il primo è una satira, invero piuttosto bonaria, del comunismo, mentre il secondo una presa in giro, assai più acre, del nazismo. Ninotchka è il nome affettuoso di Nina Ivanovna Yakushova, un commissario del popolo piombato a Parigi per scoprire cosa stia succedendo a due emissari sovietici colà inviativi per recuperare un prezioso dipinto di Raffaello portato via da Mosca da una nobile esule. I due, affascinati dagli agi parigini e per nulla desiderosi di ritornale al pericoloso grigiore dell'URSS staliniana, stanno procrastinando al massimo il lavoro. La giovane funzionaria minaccia inchieste e processi, ma poi soccombe al fascino della "ville lumiere", al profumo del lusso e ai begli occhi dei un avvocato che, guarda caso, tutela gli interessi della nobile profuga. Lieto fine con i sovietici che "scelgono la libertà" in nome dei sentimenti e del bel vivere. Una trama non eccelsa - vi si ritrova il classico ingrediente della "strana coppia" che prima si odia e poi si ama - nobilitato dal famoso "Lubitsch Touch", una miscela di arguzie, raffinatezza, gusto per il paradosso capace di rendere sublimi anche i soggetti meno originali. E' ciò che manca allo spettacolo proposto da Filippo Crivelli sulla base del copione che lo stesso Melchior Lengyel trasse, nel 1950, dalla sceneggiatura cinematografica assieme al commediografo francese Marc Gilbert Sauvajon. Vale a dire la capacità di distillare battute frizzanti, usare gli attori al meglio, rendere attuale una satira molto legata al suo tempo. Claudia Koll e Gianpiero Bianchi recitano in modo professionalmente corretto, ma manca ad entrambi quello scatto capace di trasformare l'algida bellezza e lo snobismo raffinato in ingredienti comici. La scena di Alberto Verso è ricca e i movimenti degli attori geometricamente precisi, ma ciò che latita, anche in questo caso, è il matrimonio fra precisione professionale e vaudeville, fra costruzione a tavolino e risata spontanea.

 

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