Der Totmacher

Testo di Romuald Karmaker e Michael Fatin, verdione italiana Luisa Gazzerro Righi, regia Marco Sciaccaluga, scene e costumi Guido Fiorato, luci Piero Niego,  con Juri Ferrini, Massimo Mesciulam, Massimo Rigo.

Fra il 1918 e il 1924 il commerciante tedesco Fritz Haarnann uccise da 22 a 27 ragazzi, anche se il numero esatto potrebbe essere ancora più alto, visto che gli inquirenti non riuscirono mai a stilare un elenco definitivo dei delitti. L'assassino era un ricettatore, un borsaro nero, un trafficante e un confidente della polizia. Commise i suoi crimini principalmente a Hannover, reclutando le proprie vittime fra i giovani "marchettari" che cercavano clienti nella stazione di quella città. Oggetto di un vero e proprio furore popolare, il reo confesso fu sottoposto a perizia psichiatrica il cui esito fu una dichiarazione di "capacità d'intendere e volere", con conseguente condanna a morte ed esecuzione capitale mediante ghigliottina. I copiosi materiali processuali e le molte pagine scritte dallo psichiatra che lo esaminò, sono state oggetto del film "Der Totmacher" (Il fabbricante di morte), diretto a Romuald Karmakar, che fruttò a Götz George la Coppa Volpi per l'interpretazione maschile alla Mostra di Venezia del 1995. Va ricordato, inoltre, che Fritz Lang s'ispirò a questi delitti nel costruire "M" (1931), uno dei suoi capolavori. Romuald Karmakar e Michael Farin hanno tratto, da quegli stessi materiali, un testo che, nella versione italiana curata da Luisa Gazzerro Righi, è stato messo in scena da Marco Sciaccaluga. In sostanza si tratta di una serie di brevi sequenze che si svolgono in una sala dell'Istituto Sanitario Provinciale di Göttingen. Ne sono interpreti il direttore dell'istituto stesso, incaricato della perizia psichiatrica, il detenuto e uno scrivano, che prende nota d'ogni fase, ma non pronuncia una sola parola. E' il quadro delle turbe mentali che allignano sotto la rispettabilità piccolo borghese di un criminale che uccide, scarnifica, forse mangia, sicuramente disperde i resti delle sue vittime. Una persona sessualmente turbata, incline all'omosessualità, segnata dal ricordo di una padre autoritario. I piani psicologici e sociali - siamo negli anni della grande crisi tedesca che sfocerà, nel 1933, nel trionfo del nazismo - si mescolano in un discorso inquietante, teatralmente robusto, complesso ed emozionante. Grande merito va agli interpreti. Juri Ferrini da una versione del mostro costantemente in bilico fra umanità lacerata, ma dolente, e orrore morale. Massimo Rigo riesce nel compito, difficilissimo, di fare dello scrivano un testimone che non parla, ma funziona da polo reattivo delle tensioni che esplodono fra i due contendenti. Massimo Mesciulam lavora con misura, professionalmente alta, la figura di uno studioso che finisce col rimanere quasi affascinato dal pluriomicida che sta esaminando. Uno spettacolo d'alta classe e una di quelle occasioni che fanno venir voglia di continuare ad andare a teatro.

 

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