L'arte della commedia

Testo di Eduardo De Filippo (1900 - 1984); regia: Luca De Filippo; scene e costumi: Enrico Job; luci: Stefano Stacchini; interpreti: Luce De Filippo, Giuseppe Rispoli, Greta Zamparini, Umberto Orsini, Roberto Valerio, Francesco Biscione, Michele Nani, Carolina Rosi, Nanni Tormen, Dimitri Cencelli

Il copione de "L'arte della commedia" vive di una doppia anima. Il primo tempo è interamente assorbito da un dialogo serrato, interessante anche se un po' datato, sul rapporto fra il teatro, la società e il potere politico, il secondo tempo ruota attorno a una serie di personaggi che espongono casi strambi e fanno sfoggio della loro stessa originalità. Eduardo De Filippo scrisse questo testo nel 1964, anche se vi sono testimonianze di una sua riflessione in questa direzione già da vari anni prima. La commedia fu rappresentata per la prima volta nel 1965, poi messa da parte sino ad una riedizione televisiva nel 1976. Eduardo stesso disse, in alcune interviste, di aver preso quella decisione temendo reazioni da parte dell'autorità. Molto più probabilmente, da quel gran teatrante che era, capì subito che si trattava di un testo un po' schizofrenico e molto, troppo legato, a polemiche datate. Un capocomico che gira con un teatrino di guitti, si trova improvvisamente sul lastrico per colpa di un incendio che ha privato la compagnia di quasi tutti gli strumenti di lavoro. Chiede aiuto al neoprefetto di una cittadina abruzzese, ma l'unica cosa che riesce ad ottenere, dopo una lunga discussione sul fare teatro, è poco più che un'elemosina: un foglio di via per ritornare al paese d'origine. Indignato promette al tronfio burocrate una sottile vendetta: istruirà i suoi attori affinché si presentino davanti a lui nelle vesti di comuni questuanti e si vedrà se lui saprà riconoscerli. Il testo nacque nel vivo di roventi polemiche fra gli uomini di cultura e i politici al governo, polemiche che, in Eduardo, furono esacerbate dal rifiuto, d'alcuni anni prima, di concedergli prestiti a tassi speciali per la ricostruzione del Teatro San Ferdinando di Napoli, da lui acquistato in macerie e interamente riedificato a sue spese. La versione di questo testo proposta da Luca De Filippo ha, da un lato, un po' il gusto di un reperto storico, dall'altro la brillantezza di un saggio di "guittaggine" di sublime livello. Una posizione che finisce con l'accentuare la schizofrenia fra prima e seconda parte, una cesura non sanata dalla stupenda scena di Enrico Job: una prefettura diruta non meno delle rovine del misero carro di Tespi che scorgiamo all'inizio e che resteranno in sottofondo per l'intero spettacolo.

 

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