Wasabi (La petite moutarde qui monte au nez)
Regia: Gérard Krawczyk; sceneggiatura: Luc Besson; interpreti: Jean Reno, Ryoko Hirosue, Michel Muller, Carole Bouquet, Ludovic Berthillot, Yan Epstein, Michel Scourneau, Christian Sinniger, Jean-Marc Montalto, Alexandre Brik, Fabio Zenoni, Véronique Balme, Jacques Bondoux, Yoshi Oida, Haruhiko Hirata, Osamu Tsuruya, Akihiko Nishida, Elodie Frenck, Anthony Decadi, Dorothée Brière, Yuki Sakai, Karine Stoffer, Yuji Yamashita, Takashi Ishii, Makiko Kishi, Stefan Nelet; produttore Luc Besson, Shohei Kotaki, Kanjiro Sakura, musica originale: Julien Schultheis, Eric Serra; fotografia: Gérard Sterin; montaggio: Yann Hervé; ricerca attori: Swan Pham; scenografia: Jacques Bufnoir, Jean-Jacques Gernolle; costumi: Agnès Falque; produzione: Europa Corp., K2, Le Studio Canal+, Leeloo Productions, Samitose Productions, TF1 Films Productions, Tokyo Broadcasting System (TBS), Victor Company of Japan Ltd.; nazionalità: Francia/Giappone; anno di produzione; 2001; durata: 94 min. |
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Ad una decina di mesi dall’uscita francese arriva sui nostri schermi, Wasabi (è il nome di una salsa giapponese gustosa, ma molto piccante) di Gérard Krawczyk, un film scritto da Luc Besson regista, fra gli altri di Nikita, (1990), Léon (1994) e Il quinto elemento (1997). La storia è quella di un poliziotto francese che preferisce usare le mani e la pistola piuttosto che la testa. Un energumeno che cova il cruccio per essere stato abbandonato, diciannove anni prima, dall’amata: un’investigatrice nipponica che lo ha lasciato senza alcuna spiegazione. Fra il pestaggio di un arrestato e una sparatoria, gli arriva la notizia della morte dell’amata che ne ha fatto il suo erede. Piomba a Tokyo, scopre che il lascito comprende una figlia, di cui ignorava l’esistenza, e una massa enorme di denaro sottratto agli yakuza. Per niente intimorito, il nostro eroe inizia a distribuire cazzotti e revolverate a destra e a manca. Finale mieloso con il manesco gendarme che s’intenerisce per la figlia, forse, aggiungiamo noi, anche in considerazione della valanga di miliardi che la madre le ha lasciato. Il film usa con abilità una miscela di scene d’azione e gag, ma non riesce a decollare. Jean Reno è un attore tutt’altro che banale, come dimostra la sua incursione nel cinema di Michelangelo Antonioni (Al di là delle nuvole, 1995), ma qui sembra approfittare di una vacanza esotica più che impegnarsi nel recitare un ruolo. Qualche sorriso ci scappa, ma niente di più. Per quanto riguarda, poi, la “morale” – come si diceva una volta – è meglio lasciar perdere: fra poliziotti che massacrano i fermati, esecuzioni sommarie e tranquilla appropriazione di capitali mafiosi, c’è da mettersi le mani nei capelli. |
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