Paradise Now
Regia: Hany Abu-Assad: sceneggiatura: Hany Abu-Assad, Bero Beyer, Pierre Hodgson; interpreti: Kais Nashef, Ali Suliman, Lubna Azabal, Amer Hlehel, Hiam Abbass, Ashraf Barhom, Mohammad Bustami; produttori: Bero Beyer, Amir Harel, Peter Hermann, Gerhard Meixner, Hengameh Panahi, Roman Paul; Pasquale Scimeca; musica: Jina Sumedi; fotografia: Antoine Héberlé; montaggio: Sander Vos; scenografo Olivier Meidinger; società produttrici: Augustus Film, Razor Film Produktion GmbH, Lumen Films, Arte France Cinéma; nazionalità: Francia / Germania / Olanda / Israele: anno di produzione: 2005; durata: 90 min. |
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Il film sulla situazione del Medio Oriente, sia sul versante palestinese, sia su quell’israeliano, non sono pochi, ma questo Paradise Now (Il paradiso ora) costituisce un’opera tematicamente e stilisticamente originale. Siamo nella Striscia di Gaza, a Nablus, ove due giovani palestinesi accettano di diventare kamikaze e compiere una strage a Tel Aviv. Lo sguardo all’interno del fanatismo suicida costituisce già un elemento di novità nel cinema politico mediorientale, a questo si aggiunge un approccio che tende a proporre la storia in termini neorealistici, quasi minimalisti. I gesti, le fasi del racconto e lo scorrere delle ore sono cadenzati come una cronaca della normalità, solo che siamo davanti ad un situazione abnorme e a comportamenti allucinanti e allucinati. La forza del palestinese Hany Abu-Assad, che torna alla regia dopo lo straordinario Al Qods Fee Yom Akhar (Il matrimonio di Rana, 2002), sta in questo sguardo freddo sui fatti e in una presa di posizione che, anche se mostra qualche cedimento verso la sua parte, non schiaccia né l'affronta in termini puramente propagandistici le ragione dei nemici. Queste quarantotto ore, che precedono la decisione terribile di uccidersi e uccidere altri, sono vissute come travaglio esistenziale che aggredisce e corrode i facili dogmatismi politici. La macchina da presa si muove quasi come in certe opere del primo neorealismo, con movimenti filtrati dalla lezione del cinema americano di denuncia sociale. C'è un punto in cui il film subisce una vera e propria impennata è in un finale aperto, con uno dei due protagonisti inquadrato su un autobus in mezzo ad un gruppo di soldati israeliani. Forse si farà saltare o, forse, l’istinto di sopravvivenza prevarrà. E’ un film molto importante sia per il modo in cui affronta un problema drammatico, sia per l’onestà cui cerca di farlo. |
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Valutazione: 1 2 3 4 5 |