Mio cognato
regia: Alessandro Piva; sceneggiatura: Alessandro Piva, Salvatore De Mola, Andrea Piva; interpreti: Sergio Rubini, Luigi Lo Cascio, Alessandra Sarno, Mariangela Arcieri; fotografia: Gian Enrico Bianchi; montaggio: Thomas Woschitz; scenografia: Anna Maria Donatella Sciveres; costumi: Francesca Leondeff; musica: Ivan Iusco; produttore: Giovanni Veronesi; produzione: Dada Film, Rai Cinema; nazionalità: Italia; anno di produzione: 2003; durata: 90 min.
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La Puglia sta trovando un suo posto nel cinema italiano. Dopo la Taranto de Il miracolo di Edoardo Winspeare, ecco la Bari di Alessandro Piva, direttamente derivata da quella cupa e notturna de Lacapagira, opera d’esordio di questo regista. Per Mio cognato i soldi a disposizione sono stati molti di più e ciò ha permesso una migliore resa fotografica, una cura maggiore nella confezione e soprattutto, la disponibilità di due attori, Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio, di grande qualità. Durante la festa per il battesimo del figlio di Vito, i soliti ignoti rubano la macchina a suo cognato Toni lasciando al suo posto un limone. Sembra un dei tanti furti che costellano le cronache della città, ma non è così. I due cognati partono alla ricerca dell’autovettura immergendosi nel sottobosco di una città in cui la criminalità è forma normale di vita. E’ un percorso che serve anche a svelare il ruolo e le diverse psicologie dei due. Vito, detto “il professore”, vive nella zona d’ombra fa vita legale d’assicuratore e connivenza con il crimine organizzato, Toni, invece, è un piccolo borghese che ha sempre chiuso gli occhi davanti a ciò che lo circonda ed ora è costretto a spalancarli a forza. Il finale è tragico e a pagare il prezzo più alto sarà il più “pulito” dei due, quello a cui è stata rubata l’automobile per mandare un segnale all’altro. Il film d’Alessandro Piva è meno ruspante de Lacacapgira, ma meglio costruito. Il regista dirige molto bene i due attori principali e tiene saldamente in mano il film anche se si concede qualche scivolata non essenziale, come l’episodio della moglie di Nicola che si vendica delle corna messile dal marito facendosela col guardiano del faro e concedendosi improbabili amplessi sulla sommità del manufatto. E’ una storia ben raccontata, anche se non originalissima, che si rifà pesantemente a Il sorpasso (1962) di Dino Risi, ma conserva una sua piacevole originalità. |
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