Ipotesi di reato (Changing Line)
Regia: Roger Michell; soggetto: Chap Taylor; sceneggiatura: Chap Taylor, Michael Tolkin ; interpreti: Ben Affleck, Samuel L. Jackson, Kim Stanton, Toni Collette, Sydney Pollack, Tina Sloan, Richard Jenkins, Akil Walker, Cole Hawkins, Ileen Getz, Jennifer Dundas; produttori: Ronald M. Bozman, Scott Rudin, Adam Schroeder; musica originale: David Arnold; fotografia: Salvatore Totino; montaggio: Christopher Tellefsen; ricarca attori: Marcia DeBonis, Ellen Lewis; scenografo: Kristi Zea; direttore artistico: W. Steven Graham; preparazione set: Debra Schutt; costumi: Ann Roth; trucco: Allan A. Apone, Janine Rath, Robert L. Stevenson; suono: Matthew C. Deville; effetti speciali: J.C. Brotherhood; società di produzione: Paramount Pictures, Scott Rudin Productions; nazionalità: USA; anno di produzione: 2002; durata: 99 min. |
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Due uomini corrono verso importanti appuntamenti. Doyle Gibson è un quarantenne nero appena uscito da una brutta storia d’alcolismo e ora sta cercando di arrivare a tempo in tribunale per evitare che il giudice assegni a sua moglie la cura dei figli. Gavin Banek non ha ancora trent’anni, è un avvocato in carriera e sta guidando veloce per consegnare un importante documento. Commette un’infrazione e investe la macchia dell’altro, il titolo originale del film significa cambio di corsia. L'investito vuole fare le cose per bene con scambio di dati e compilazione del modulo d’incidente, spazientito l'altro risale in macchina e va via. L’altro, la cui vettura ha avuto la peggio, rimane in mezzo alla superstrada. Inizia con questa trovata Ipotesi di reato di Roger Michell. Il seguito è la rincorsa fra i due nel corso di un’intera giornata: il legale ha perso la preziosa documentazione e l’altro ha raccolto. La promessa di un bel racconto non è mantenuta del tutto e la sceneggiatura spesso zoppica, ma c’è un dato che risarcisce abbondantemente da queste delusioni. E’ l’aria di quotidianità che circola in luoghi, paesaggio e, a tratti, persino nelle psicologie dei protagonisti. La pubblicità promette un thriller, ma siamo ben lontani da questo genere, così come non ci accostiamo neppure ad uno di quei “film d’inseguimento” che il cinema americano ci offre frequentemente. Il terreno, piuttosto, è quello del confronto psicologico, dell’incrocio fra esistenze e mondi morali antagonisti. Verrebbe da dire: fra la vita vera e quella sorta di suo surrogato che è il carrierismo. Un finale conciliante e zuccheroso appesantisce le ali del film, ma non riesce a comprometterne il bilancio in modo irreparabile. |
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