Alla luce del sole

Regia e soggetto: Roberto Faenza; sceneggiatura: Roberto Faenza, Gianni Arduini, Giacomo Maia, Dino Gentili, Filippo Gentili, Cristiana Del Bello con la testimonianza di Suor Carolina Iavazzo e Gregorio Porcaro; produttore: Elda Ferri; musiche: Andrea Guerra; fotografia: Italo Petriccione; montaggio: Massimo Fiocchi; suono: Mario Dallimonti; scenografia: Davide Bassan; costumi: Sonu Mishra; produttori esecutivi: Claudio Grassetti, Giulio Cestari; interpreti: Luca Zingaretti, Alessia Goria, Corrado Fortuna, Giovanna Bozzolo, Francesco Foti, Piero Nicosia,  Lollo Franco, Mario Giunta, Pierlorenzo Randazzo, Gabriele Castagna, Salvo Scelta; nazionalità: Italia; anno di produzione: 2004; durata: 89 min. 

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Il 15 settembre 1993 don Pino Pugliesi compieva 56 anni ed era parroco in una chiesa del quartiere di Brancaccio, periferia palermitana da sempre terra di Mafia. Proprio quel giorno un comando l’uccise fingendo una rapina e lasciandolo morente in una piazzetta: trascorsero molti minuti prima che una suora, sua collaboratrice, riuscisse a chiamare i soccorsi. Nel frattempo chi era passato aveva cambiato strada e chi guardava dalla finestre aveva chiuso le imposte. Quella di Don Pino Pugliesi è una delle storie di ordinaria ferocia della Mafia. Il sacerdote era nato proprio a Brancaccio e vi era ritornato per dare ai ragazzi, che vivevano in strada, la possibilità di andare a scuola, incontrarsi e giocare, vivere assieme. Roberto Faenza ha impiegato molti anni per realizzare Alla luce del sole, che ripercorre gli ultimi due anni di vita del religioso. È un film piano, costruito con andamento e struttura classiche, che racconta una vicenda di quotidiana dignità, in un lembo d’Italia che appare privo di qualsiasi legalità. Il pregio maggiore della regia è nella decisione di mettere da parte, quasi per intero, le cento suggestioni offerte dalle vicende mafiose. A voler fare un paragone ci si può riferire al filone a cui appartengono opere come Mani sulla città (1963) di Francesco Rosi o Il giorno della civetta (1968) di Damiano Damiani. É un tipo di cinema civile, utile, indispensabile che riesce a parlare a tutti senza forzature né azzardi stilistici. Se il tasso d’originalità espressiva non è elevato, quello d’impegno morale è altissimo. Scusate se è poco.

 
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