El'dar Šengelaja
TITOLO: Il
cineasta prestato alla politica Data: 10/04/2001 |
Qualche spettatore, attento e non
più giovane, ricorderà un film georgiano, vecchio ormai di diciassette
anni, che colpì e fece discutere. Portava la firma di El'dar Šengelaja,
un regista di cinquantun anni, figlio del fondatore della cinematografia
sovietica georgiana, Nicolaj (1901 - 1941), e dell'attrice Nato Vatchnadze
(1904 - 1953) ed era il fratello di un altro importante cineasta: Georgij.
L'opera aveva un lungo titolo russo, "Golubye Gory, ili
Nepravdopodobnaja" (Le montagne blu o Una storia inverosimile, 1984),
e da noi fu presentata come "Le montagne blu". A Mosca pochi
mesi prima un anziano ex - capo della polizia segreta (KGB), Yurij
Andropov, aveva lasciato il potere nelle mani di un dirigente ancor più
vecchio e malandato, Kostantin Cernenko, la cui carica sarebbe durata
appena un anno, mentre Mikail Gorbacëv, che sarà nominato Segretario
Generale del PCUS nel marzo del 1985, era solo uno degli uomini di punta
nell'apparato politico. Erano tempi in cui di riforme quasi non si
parlava, si era ancora nella scia dell'era bezneviana (1964 - 1982),
mentre nelle ovattate stanze del Cremlino era in corso un duro scontro fra
conservatori e progressisti sulla scelta della strada da imboccare per far
uscire il paese dalla lunga stagnazione succeduta alle prime, timide
aperture della metà degli anni sessanta. Quasi nessuno spettatore
occidentale, poi, avrebbe creduto a chi gli avesse annunciato che un altro
regista georgiano, Tengiz Abuladze, aveva quasi finito un film, destinato
a diventare il simbolo della rottura fra l'URSS del grigiore
poststalinista e quella della glasnost: "Pkayaniye" (Pentimento,
terminato nel 1984, ma uscito solo nel 1986). E' la storia della salma di
un dittatore, nella cui fisionomia si confondono i tratti di Adolf Hitler
e di due georgiani tristemente famosi: Stalin e Lavrentij Berija, che
rifiuta di essere sepolto e ritornava continuamente fra la gente. Una
metafora del terrore permanente che percorreva, come un drammatico filo
rosso, la società sovietica. Il film usava l'ironia mescolata al
grottesco, proprio come accadeva ne "Le montagne blu". Qui la
scena è di una casa di edizioni cui un volenteroso scrittore ha affidato
il manoscritto di un suo romanzo, affinché sia giudicato ed,
eventualmente, pubblicato. Tuttavia nessuno degli addetti ai lavori si
cura di leggere e valutare il testo. C'è chi è troppo preso nei piccoli
commerci personali, chi - più semplicemente - non ha voglia di lavorare e
preferisce oziare, chi non vuole esporsi e, per questo, rifiuta finanche
di posare gli occhi sul dattiloscritto, chi lo scorre fuggevolmente e poi
esprime un parere tanto vago da essere del tutto inutile, chi biliosamente
diffida di qualunque creatore e boccia senza pietà tutto quello che gli
capita sotto gli occhi. Alla fine il manoscritto sarà usato per arginare
un'infiltrazione d'acqua, trasformandosi in una poltiglia illeggibile.
Mentre capitava tutto questo nessuno prestava attenzione ai sinistri
scricchiolii che giungevano dalla struttura dell'edificio che, ad un certo
punto, crolla. L'ultima sequenza ha un sapore ancor più feroce del resto
del film. Lo scrittore, che ha pazientemente rifatto il romanzo, si
appresta ad entrare in un nuovo palazzo, ma appena varca il portone si
ferma interdetto udendo i medesimi scricchiolii che aveva inteso nel
vecchio fabbricato. Il film è diviso in quattro paragrafi, corrispondenti
ad altrettante stagioni, introdotti da lunghe panoramiche che colgono un
vasto panorama urbano osservato da una finestra: quello che accade nella
casa editrice è del tutto simile a quanto capita nel resto della città.
La struttura stilistica del film mescola ironia a disperazione, sarcasmo a
malinconia. C'è una sfiducia nel sistema che va ben oltre la semplice
satira, per approdare alla condanna di una macchina che dissipa e umilia
ricchezze, intelligenze, generosità e creatività. Se pensiamo ai toni
trionfalistici che il regime imponeva ai creatori e non solo a quelli
cinematografici, possiamo misurare per intero la lucidità e il coraggio
dimostrati dal regista. Del resto anche nelle opere precedenti di El'dar
Šengelaja è possibile trovare tracce di questo spirito. Se escludiamo i
primi tre titoli che il regista ha firmato assieme ad altri autori ,
secondo un'abitudine del tempo che voleva gli esordienti
"accompagnati" e garantiti da un altro cineasta, scopriamo che
questa voglia di mescolare satira ad acri umori politici rientra fra le
sue corde migliori. E' una miscela presente in "Neobyknovennaja
vystavka" (L'esposizione straordinaria, 1968). Il film racconta di
uno scultore emarginato dalla cerchia degli artisti ufficiali, al punto
che, per sopravvivere, è costretto a tramutarsi in artigiano. La
denuncia, intrisa d'ironia, colpisce la chiusura del mondo intellettuale,
vera casta braminica in una società che dice di essere senza classi, ma
è ordinata secondo rigide gerarchie. Incontriamo qui tutti gli
ingredienti che forniranno le basi di partenza all'intero lavoro del
regista: la favola filosofica, l'ironia, l'amore per la gente semplice, il
disprezzo per i potenti senza meriti. Il film seguente, "Cudaki"
(Gli strambi, 1973), racconta di un prete e del suo giovane assistente che
realizzano una macchina capace di volare usando l'amore come propellente.
Il marchingegno servirà ai due per evadere dalla prigione e dal
manicomio, luoghi carichi di valori simbolici. Il film ha il tono di una
commedia che svolta nel melodramma, ci sono inseguimenti, colpi di scena,
e molti ingredienti tipici del film farsesco. Tuttavia l'obiettivo non è
far ridere quanto sviluppare, in forma piana, una riflessione
sull'esistenza. L'opera successiva, "Machekha Samanishvili" (La
matrigna di Samanishvili, 1977), prende spunto da una novella di Rezo
Cheishvili. Vi si racconta di un nobile decaduto che va in cerca di una
sposa per il vecchio padre. Vorrebbe una femmina sterile, in modo da non
dover dividere l'eredità, ma le cose non vanno per il verso sperato e,
alla fine del viaggio, si ritroverà con una donna incinta. L'obiettivo,
questa volta, è l'egoismo e le frustrazioni dell'avarizia. Il tutto, come
il solito, trattato sul filo dell'ironia e con ritmo da commedia. Il 9
aprile 1991 la Georgia diventa repubblica indipendente, quattro mesi prima
che a Mosca ci sia il tentativo di colpo di stato che porterà alla fine
della segreteria di Michail Gorbacëv e all'inizio dell'ascesa di Boris
Eltsin. Il rancore verso Mosca covava da qualche tempo, alimentato dalla
rabbia per il massacro, perpetrato due anni prima, dalla polizia politica
che sparò sulla folla che stava manifestando pacificamente sulla piazza
principale di Tibilisi. El'dar Šengelaja s'impegna subito nel nuovo
corso. Assume la carica di segretario dell'Unione dei Cineasti e diventa
uno dei più strenui oppositori del presidente - dittatore Zviad
Gamsakurdia. Quest'ultimo è eletto il 29 ottobre 1990, con un voto quasi
plebiscitario, tuttavia la sua posizione nazionalista radicale origina ben
presto una grave crisi è spinge all'opposizione molti intellettuali. Il 6
gennaio 1992 una parte della guardia nazionale si ammutina ed è l'inizio
di una sanguinosa guerra civile, alla fine della quale il presidente
scompare dalla scena politica: si uccide o è giustiziato, la cosa non è
mai stata chiarita sino in fondo. Nel frattempo c'è stata la guerra,
persa dall'esercito georgiano, contro i separatisti abhasi, conflitto
terminato nel novembre 1993, con la nascita di un nuovo stato autonomo,
l'Abhasia, che priva la Georgia del 12,5 per cento del territorio. La
nuova nazione, poi, ha una base etnica precaria: 240 mila dei suoi 525
mila abitanti sono di origine georgiana, mentre gli abhasi sono solo 90
mila. La sconfitta rende debolissime le strutture georgiane e getta il
paese in una crisi economica gravissima. La guerra di secessione abhasa,
poi, origina nuovi guasti sociali, come l'arrivo di oltre 200 mila
profughi espulsi dalle regioni che formano il nuovo stato. Quest'insieme
di fattori inducono Eduard Shevardnadze, ex ministro degli esteri di
Gorbacëv e nuovo uomo forte del paese, ad accettare il pressante invito
di Mosca a far entrare la Georgia nella Comunità degli Stati Indipendenti
(CSI). Una decisione in questo senso è adottata dal parlamento il 22
ottobre 1993 dopo un duro confronto fra maggioranza e opposizione. In
seguito Eduard Shevardnadze si sposterà progressivamente verso il campo
occidentale, in particolare gli Stati Uniti, attirandosi i malumori di
Mosca la cui influenza non è estranea al grave attentato in cui rischia
di perdere la vita. Nel corso di questi eventi El'dar Šengelaja diventa
una delle figure più importanti della scena politica. Nei primi anni si
batte per il rispetto delle regole democratiche e, per questo, è
duramente perseguitato dalla polizia di Zviad Gamsakurdia. Dopo la caduta
di questi, aderisce al partito di governo, diventa deputato ed è nominato
vicepresidente del Parlamento. L'ultimo suo film,
"Express-Informatsia" (Informazione rapida, 1993), lo gira quasi
clandestinamente, visto che la polizia politica lo sta cercando, e riesce
a finirlo solo dopo l'arrivo al potere di Eduard Shevardnadze. Stessa
sorte tocca a Lana Gogoberidzse che, negli stessi mesi, dirige "Walsi
Petschorase" (Il valzer sul fiume Pechora, 1992), dormendo ogni notte
in una casa diversa. "Informazione rapida" è ambientato nei
giorni della battaglia per la perestrojka e la glasnost. A Tibilisi, il
direttore di una fabbrica di succhi di frutta è accusato di aver messo in
commercio un succo di rosa canina che ha provocato numerose
intossicazioni. La televisione sfrutta il caso varando una trasmissione,
da cui il titolo del film, che informa il pubblico, minuto per minuto,
sugli sviluppi dello scandalo. I familiari e gli amici del bersagliato
muovono inutilmente le loro conoscenze e il presunto colpevole, che in un
ultimo disperato tentativo ha preso contatto con rappresentanti dei
movimenti anticomunisti, finisce dietro le sbarre. Sarà liberato solo
dopo la caduta del regime. Mentre succede tutto questo gli avvenimenti
politici si susseguono con una tale rapidità che c'è appena il tempo di
cambiare il ritratto del presidente e già bisogna sostituirlo con un
altro. I partiti al potere hanno nomi di colori e questo indica, nel
comune sentire degli spettatori, le loro caratteristiche morali. Ci sono i
Verdi, poi gli Azzurri (così in Georgia sono chiamati gli omosessuali)
quindi i Neri, vale a dire la Mafia. Le difficoltà di realizzazione e
quelle complessive del paese, pesano sul film il cui esito appare
sbilanciato sul versante militante e propagandistico, mentre i rari
momenti ironici sono soffocati da un obiettivo programmatico che riduce la
portata dell'opera.
Umberto Rossi
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